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martedì 28 febbraio 2012

History - Albert Einstein


il Meteo

Ooparts - oggetti fuori dal tempo


Quando il cavallo era grande come un gatto

Sirfhippus sandrae è uno dei primi antenati dei cavalli dell'America del nord, vissuto circa 55.6 milioni di anni fa. E' anche uno dei più piccoli: i primi esemplari pesavano solo 5,6 chilogrammi.(Credit Danielle Byerley/Florida Museum of Natural History)


L'Hyracotherium vagava nei primi boschi dell'Asia, Europa e Nord America tra i 55 e i 45 milioni di anni fa. Era poco più  grande dello Sifrhippus, pesava circa 22,7chilogrammi.




L'Orohippus (dal greco "cavallo di montagna") visse durante l'Eocene, circa 50 milioni di anni fa. I primi reperti risalgono a due milioni di anni dopo la comparsa dell'Hyracotherium. Rispetto al suo antenato, pur conservando circa le stesse dimensioni, l'Orohippus aveva un corpo più sottile, testa allungata e arti posteriori più lunghi.




Vissuto nell'America del nord da 40 a 30 milioni di anni fa circa, Mesohippus (o "cavallo di mezzo") era appena più alto dell'Hyracotherium ma aveva sviluppato un cervello più grande che lo faceva assomigliare di più a un cavallo moderno.




Hipparion ha galoppato attraverso quattro continenti per quasi dodici milioni di anni, dal Miocene medio al Pleistocene medio. Simile agli attuali pony, era alto circa 1,4 metri al garrese, e pesava dai 63 ai 119 chilogrammi.




Hanno girato tra  Colorado, Montana e Nebraska, tra i 17 e gli 11 milioni di anni fa. Gli Hypohippus erano equidi tridattili, con uno zoccolo formato da tre dita ben sviluppate che si allargavano sul terreno per fornire appoggio sicuro. Le sue dimensioni erano leggermente più grandi di quelle di un pony. 

Colosseo - l'arena dei gladiatori


Gli animali radiocomandati

Gli animali vengono spesso impiegati per aiutare l’uomo, grazie ai loro sensi raffinati. Nei terremoti per cercare i superstiti, per scovare esplosivi o sostanze illecite, o semplicemente per andare a tartufi. Questi sono solo alcuni esempi, ma la ricerca tecnologica si è sempre impegnata per carpire il segreto della sensibilità animale e poterlo riprodurre con mezzi meccanici. E’ il caso del bio-sonar dei pipistrelli, un sistema perfetto, ancora oggi studiato nei laboratori che cercano di migliorare i moderni sonar militari. Gli esempi offerti dalla natura sono innumerevoli.
Una soluzione per poter adoperare i sensi espansi degli animali arriva dalla neuroscienza. Collegando degli innesti direttamente al cervello degli animali, possiamo controllarne i movimenti con un radiocomando. In questo modo icyber-animali possono essere usati per gli scopi più svariati, sfruttando tutta la loro potenza biologica.
Ma qual è il limite della sperimentazione? E’ un discorso delicato che suscita un vespaio etico.
Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità. Siete avvertiti.
Nel 1964 il neuroscienziato Josè Delgado (scomparso il 15 settembre 2011) fece un esperimento pionieristico. Studiando il cervello si chiese se fosse possibile inibire la ferocia innata dei tori. Tramite un innesto di elettrodi nell’area del cervello responsabile dei movimenti e dell’aggressività dell’animale, il Professor Delgado trasmetteva segnali radio che potevano domare il toro. Ecco il risultato:



Il Dottor John Chapin studia il cervello dei topi da oltre vent’anni con lo scopo di creare un’interfaccia animale-macchina. Il risultato è il robot-topo radiocomandato. Stimolando i baffi destri  il topo gira a destra, stimolando quelli sinistri gira a sinistra. Il topo ha la libertà di scelta, ma se fa come gli viene ordinato riceve un impulso nella zona del cervello che stimola il piacere.



Ecco come funziona l’innesto:
Uno dei progetti più sensazionali degli ultimi anni viene dal DARPA: gli insetti-spia radiocomandati. Ho tradotto la spiegazione del programma HI-MEMS direttamente dal loro sito. Lascio a voi ogni commento…
HYBRID INSECT MICRO ELECTROMECHANICAL SYSTEMS (HI-MEMS)
Le api sono state addestrate per localizzare mine e armi di distruzione di massa attraverso il loro olfatto. Il programma Hybrid Insect Micro Systems (HI-MEMS) è volto a sviluppare la tecnologia per fornire il controllo sulla locomozione degli insetti, così come le redini sono necessarie per un efficace controllo della locomozione di un cavallo.
Le tecnologie derivate da HI-MEMS permeteranno molte funzionalità robotiche a basso costo, impattando lo sviluppo dei sistemi di difesa autonomi del futuro. La realizzazione dei cyborg fornirà piattaforme compatte che utilizzeranno sistemi biologici altamente efficienti, sviluppati nel corso di milioni di anni di evoluzione. Le piattaforme HI-MEMS estenderanno la durata e miglioreranno la capacità delle missioni microrobotiche, grazie all’efficienza combinatadell’accumulo di energia biochimica (grasso) e bio-attuatori (muscoli) rispetto al metodo tradizionale di conservazione di energia chimica (batteria) e attuatori (motori).
La tecnologia di base sviluppata in questo progetto servirà anche come strumento biologico per capire e controllare lo sviluppo degli insetti, aprendo nuovi orizzonti nella nostra comprensione dello sviluppo dei tessuti e fornendo nuovi percorsi tecnologici per sfruttare i sensori naturali e la generazione di energia degli insetti.
Il programma HI-MEMS è finalizzato allo sviluppo di interfacce strettamente collegate tra macchine-insetti collegando carichi elettronici ai muscoli o ai sistemi neurali durante le prime fasi della metamorfosi. Dal momento che la maggior parte dello sviluppo dei tessuti negli insetti si verifica nelle ultime fasi della metamorfosi, la crescita dei nuovi tessuti attorno al MEMS tenderà a guarire formando un’affidabile e stabile interfaccia tessuto-macchina.
Lo scopo dell’innesto MEMS sarà quello di guidare la locomozione dell’insetto, determinare la sua posizione ed estrarre l’energia per gestire i sistemi elettronici.
Il controllo della locomozione degli insetti sarà studiato usando diversi approcci, come l’eccitazione elettrica diretta muscolare, la stimolazione elettrica dei neuroni, la stimolazione elettromeccanica delle cellule sensoriali degli insetti e la presentazione di stimoli ottici con presentazioni visive micro-ottiche. Anche l’estrazione di energia sarà studiata usando diversi approcci, compresi i convertitori termo-elettrici, generatori risonanti piezoelettrici e magnetici e raccoglitori di energia a banda larga non risonanti.





Le ultime notizie che ho trovato riguardo il progetto HI-MEMS risalgono al 2009. Forse gli insetti-spia ci stanno già osservando. Maledette zanzare
!

giovedì 16 febbraio 2012

Brontomerus, il dinosauro che combatteva a spintoni

L'animale doveva avere le zampe particolarmente possenti, che sfruttava per difendersi dai predatori a colpi di spintoni e calci 


Brontomerus mcintoshi è il nome che è stato imposto a una nuova specie di dinosauro vissuto nella prima parte del Cretaceo, circa 110 milioni di anni fa. La scoperta, avvenuta nello Utah, è descritta sull'ultimo numero degli Acta Palaeontologica Polonica

Le ossa fossili di questo dinosauro - un sauropodode, un gruppo che comprende anche il diplodoco e il brachiosauro - appartenevano a un esemplare adulto e a uno giovane: l'adulto era probabilmente la madre dell'altro e doveva pesare attorno alle 6 tonnellate per una lunghezza complessiva di circa 14 metri. L'esemplare più piccolo doveva invece pesare appena sui 300 chilogrammi, per una lunghezza inferiore ai 5 metri.

La forma della ossa indica che l'animale doveva avere le zampe particolarmente possenti, le più grandi di tutto il gruppo dei sauropodi, caratteristica da cui è stato tratto il nome del genere che letteralmente significa "cosce tonanti". Il nome di specie è dedicato a John "Jack" McIntosh, docente di medicina e paleontologo alla Wesleyan University.

"Quando abbiamo visto la bizzarra forma della sua cresta iliaca ci siamo chiesti quale fosse il suo significato. Poi abbiamo concluso che molto probabilmente era adatto a spintonare e calciare potentemente. Il calcio poteva essere usato nella lotta fra due maschi per una femmina, ma sarebbe comunque alquanto strano se non fosse usato anche per difendersi dai predatori, ha osservato Mike Taylor, del' University College di Londra e primo firmatario dell'articolo.

Inoltre, "la scapola di Brontomerus aveva un insolito rigonfiamento che probabilmente segnava il confine delle inserzioni dei muscoli, suggerendo che Brontomerus avesse anche zampe anteriori particolarmente possenti. E' possibile che fosse molto più atletico degli altri sauropodi. E' sicuro che non vivesse in aree paludose ma che preferiva zone più
secche; forse viveva in terreni collinosi o aspri." (gg)

Colonizzare altri pianeti? Chiedetelo ai vermi







Una ricerca ha monitorato 4000 esemplari di C. elegans durante una loro missione in orbita bassa attorno alla Terra e ha dimostrato che questi vermi nematodi sono un buon modello per studiare i problemi che potrebbero incontrare gli astronauti nelle missioni di lunga durata nello spazio profondo (red) 

Stephen Hawking ritiene che se l'umanità vorrà sopravvivere, dovrà colonizzare lo spazio. Anche se non tutti gli scienziati la pensano così, sicuramente molti ritengono però che potremmo colonizzare altri pianeti.

L'esplorazione spaziale a lungo termine richiede però il superamento di molte sfide, come quelle collegate con l'esposizione alle radiazioni e il deterioramento muscolo-scheletrico. Tuttavia lo stesso studio di questi problemi e delle possibili è una autentica sfida.

Per questo un gruppo di ricercatori dell'Università di Nottingham ha pensato di rivolgersi a Caenorhabditis elegans, un piccolo verme nematode molto simile dal punto vista biologico all'essere umano come possibile modello su cui condurre gli esperimenti.

"I vermi - osserva Nathaniel Szewczyk, che ha coordinato lo studio  - ci permettono di rilevare i cambiamenti nella crescita, nello sviluppo e nella riproduzione, e il comportamento in risposta a condizioni ambientali quali tossine o alle possibili radiazioni durante missioni nello spazio profondo. Dato l'elevato rischio di fallimento delle missioni su Marte, l'uso di vermi come organismi modello ci permette di testare in modo sicuro e relativamente a buon mercato sistemi di prova prima di missioni spaziali con equipaggio ".

Colonizzare altri pianeti? Chiedetelo ai vermi
 © Carolina Biological/Visuals Unlimited/Corbis
Uno dei problemi più complessi era sviluppare un sistema automatico e compatto per la crescita di C. elegans tale da assicurare il monitoraggio a distanza, per la cui messa a punto i ricercatori di Nottingham si sono avvalsi della collaborazione di esperti dell'Università di Pittsburgh, dell'Università del Colorado e della Simon Fraser University, in Canada.

Così, nel dicembre 2006, 4000 esemplari di C. elegans sono stati caricati a bordo dello Space Shuttle Discovery, per essere monitorati nel corso dei primi tre mesi del loro viaggio di sei mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale in modo da controllare gli effetti del volo in orbita terrestre bassa su 12 generazioni di vermi.

Ora sulla rivista della Royal Society "Interface", i ricercatori dell'Università di Nottingham che hanno allestito l'esperimento pubblicano i risultati dello studio che ha mostrato che nello spazio C. elegans si sviluppa da uovo ad adulto e produce progenie proprio come avviene sulla Terra. Questo lo rende un sistema ideale e conveniente sperimentale per studiare gli effetti di lunga durata e l'esplorazione dello spazio a distanza.

"Anche se può sembrare sorprendente, molti cambiamenti biologici che avvengono durante il volo spaziale influenzano gli astronauti e i vermi nello stesso modo. Siamo stati in grado di dimostrare che i vermi possono crescere e riprodursi nello spazio per un tempo sufficiente a raggiungere un altro pianeta e che si può monitorare a distanza la loro salute. Di conseguenza C. elegans è una soluzione conveniente per scoprire e studiare gli effetti biologici delle missioni nello spazio profondo. In definitiva, ora siamo in condizione di poter far crescere e studiare a distanza un animale su un altro pianeta."

Popolazioni di robot per simulare l'evoluzione

Popolazioni di animali identici che vivono in habitat identici possono evolvere sistemi di segnali diversi in seguito alla deriva genetica casuale: lo dimostra uno studio condotto da un gruppo di ricercatori che ha progettato un esperimento di evoluzione simulata con un gruppo di robot appositamente ideati per indagare su questo complesso tipo di cambiamento evolutivo. Il risultato suggerisce che nei processi di speciazione possa avere un ruolo anche la stocasticità nell'ordine in cui si verificano i cambiamenti genetici e fenotipici durante il corso dell'evoluzione (red)

La grande varietà di sistemi di segnalazione all'interno delle specie e tra di esse svolge un ruolo chiave nella regolazione della coesistenza delle specie e dei processi di speciazione.

Per spiegare l'evoluzione e la conservazione di sistemi di segnalazione alternativi sono stati proposti due meccanismi principali. Il primo è la selezione sessuale, che può portare a variazioni nei segnali di accoppiamento e corteggiamento. Il secondo è la selezione differenziale legata agli habitat ossia ai fattori abiotici e biotici che influenzano l'efficacia di diverse modalità di segnalazione.

Se questi fossero i soli fattori in gioco, popolazioni che vivono in habitat uniformi e senza selezione sessuale dovrebbero quindi evolvere sistemi di comunicazione simili; tuttavia diversi studi comparativi hanno suggerito che in realtà anche in quelle condizioni si possono sviluppare variazioni nei tipi di segnali utilizzati.

Popolazioni di robot per simulare l'evoluzione
  © Simon Mills/Corbis
Per chiarire la questione un gruppo di ricercatori dell'Università e del Politecnico di Losanna (EPFL) ha deciso di procedere a un esperimento di evoluzione simulata su un gruppo di robot appositamente ideati, così da aggirare le difficoltà che si frappongono a un controllo sperimentale diretto dell'evoluzione dei tratti sociali, che richiederebbe di seguire per molte generazioni diverse popolazioni in continua evoluzione poste in condizioni ambientali controllate.

"Il grado di realismo offerto da questi sistemi robotici - scrivono gli autori - supera di gran lunga gli attuali modelli di analisi e di teoria dei giochi e consente esperimenti che non possono essere facilmente eseguiti con organismi reali. Questo sistema inoltre garantisce un habitat identico per tutte le popolazioni, un requisito essenziale per indagare l'evoluzione divergente dei segnali in condizioni ecologiche uniformi."

Nel loro esperimento, descritto in un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences ", Steffen Wischmann, Dario Floreano e Laurent Keller sono partiti da 20 popolazioni di robot identici, ciascuno dotato di due ruote, una fotocamera, un sensore per il rilevamento delle fonti di alimentazione e di un anello che poeva emettere una luce blu o verde. Ogni popolazione di 20 robot è stata messa in un'arena che contiene una fonte di cibo. I ricercatori hanno classificato ogni robot in base alla quantità di tempo speso alla fonte di alimentazione, utilizzando un metodo statistico per selezionare 100 programmi o "geni" per la riproduzione dei robot.

Popolazioni di robot per simulare l'evoluzione
Alcuni robot messi a punto nel Laboratorio per i sistemi intelligenti dell'EPFL (Cortesia EPFL/LIS )

Perché i "geni" - che codificavano le specifiche di controllo neurale dei robot, ossia dell'elaborazione delle informazioni sensoriali e della produzione delle reazioni motorie - sono stati inizialmente impostati su valori casuali, i robot si comportavano, almeno all'inizio, in modo imprevedibile. Ma dopo 1000 generazioni, tutte e 20 le popolazioni emettevano luce per indicare la posizione degli alimenti. In circa la metà delle popolazioni, inoltre, i robot emettevano un segnale solo in presenza di cibo, mentre le altre popolazioni emettevano una luce di colore diverso nelle aree senza cibo. Le popolazioni che usavano un unico segnale trovavano in media la fonte di alimentazione più velocemente, tuttavia in situazioni di competizione con robot avevano adottato altre strategie, si comportavano peggio.

Ulteriori test hanno rivelato che le differenze di segnalazione si sono verificate all'inizio nell'evoluzione dei robot.

"Il nostro studio - scrivono gli autori - ha rivelato che la variazione nella segnalazione può avvenire senza la selezione sessuale e in assenza di differenze ecologiche. Strategie alternative di segnalazione si sono evolute a causa della stocasticità delle nuove mutazioni e/o di eventi crossingover e/o delle modalità di diffusione nella popolazione. Dato che i segnali visivi, acustici, o chimici possono agire come principali meccanismi di isolamento tra le specie giovani e quelle in divenire, il nostro studio può avere ripercussioni anche sul lungo dibattito riguardo l'importanza relativa della selezione e della deriva nel processo di speciazione."

E concludono: "Alla luce del nostro studio, è ben possibile che, oltre alla selezione dipendente dell'habitat e a quella sessuale, anche la stocasticità nell'ordine in cui si verificano i cambiamenti genetici e fenotipici durante il corso dell'evoluzione potrebbe essere coinvolta nei processi di speciazione. Sarebbe così, per esempio, se la variazione fenotipica stocastica fosse la prima causa di divergenza nei segnali non di accoppiamento, successivamente utilizzati come segnali di riconoscimento del partner".

ne yo pitbull give me everything


Tiziano Ferro feat Kelly Rowland - Breathe Gentle

New York, mafia in crisi: il padrino s'è estinto

Una foto di scena del film "Il Padrino" trilo gia di Francis Ford Coppola (1972-1990) sulla famiglia Corleone. ConMarlon Brando, Al Pacino e Robert Duvall

Gli ultimi arresti e la partecipazione ai reality hanno
ridicolizzato le famiglie italo-americane

Paolo Mastrolilli
inviato a new york
Dalla saga poetica del «Padrino», alla prosa sguaiata dei reality show, passando attraverso la crisi psicoanalitica del serial televisivo sui «Sopranos». La parabola della mafia italiana nello show business americano somiglia sempre di più a quella della sua vita reale, al punto che un’inchiesta del quotidiano «New York Post» arriva a giudicarla in via di estinzione.

L’elemento di partenza viene dalla cronaca. Il 27 gennaio scorso la Dea e l’Fbi hanno decapitato la famiglia Bonanno, arrestando il boss Vincent Badalamenti, i due capitani Nicholas Santora e Vito Balsamo, e il soldato Anthony Calabrese. Nell’ambito della stessa inchiesta hanno nuovamente incriminato il consigliere Anthony Graziano, appena uscito di prigione.
Nel corso degli anni sono avvenuti tanti arresti di alto profilo dei boss mafiosi, basti pensare al lungo processo a cui era stato sottoposto John Gotti, capo indiscusso della famiglia Gambino.

Quindi sarebbe azzardato prevedere il declino delle famiglie newyorchesi, solo sulla base di una retata ben riuscita. Il problema, però, è come sono arrivati gli arresti, perché l’intera storia descrive un declino «morale» della Cosa Nostra americana, che potrebbe esporla a una crisi fatale.

All’origine dell’operazione del 27 gennaio ci sono le rivelazioni del pentito Hector Pagan, che aveva un ruolo di spicco nell’organizzazione perché era il marito di Renee Graziano, figlia del consigliere Anthony. Per salvare se stesso, Pagan si è consegnato alla Dea e all’Fbi, registrando le informazioni che hanno incastrato Badalamenti. Nello stesso tempo la sua ex moglie, Renee, copriva di ridicolo la famiglia Bonanno, comparendo come protagonista nel reality show della televisione VH1 intitolato «Mob Wives». Davanti alle telecamere, la figlia del consigliere spiegava come intende ricostruirsi la vita attraverso un intervento di chirurgia plastica sull’intero corpo; in tribunale, piangendo, descriveva ai giudici come l’ex marito era passato dalla parte della giustizia, rovinando suo padre.

Anche queste degenerazioni ridicole del drammatico mestiere mafioso si erano già viste, per esempio nel programma della televisione A&E «Growing up Gotti», di cui erano protagonisti la figlia dell’ex boss, Victoria, e i suoi tre figli Carmine, John e Frank. Il problema è che si stanno ripetendo troppo spesso, mentre le defezioni colpiscono le famiglie sempre più in alto, e la concorrenza russa minaccia il monopolio del malaffare.

I Bonanno erano un’istituzione della criminalità newyorchese. Affondavano le radici nella Sicilia di fine Ottocento, in particolare dalla città di Castellammare del Golfo, da dove gli uomini d’onore erano partiti alla volta di Brooklyn, quartiere di Williamsburg. Joe «Bananas» Bonanno aveva approfittato delle disgrazie di Salvatore Maranzano, eliminato nel 1931 dal concorrente Charles «Lucky» Luciano perché aveva sognato di diventare il «boss dei boss». Così, a soli 26 anni, Joe si era ritrovato a capo di una delle cinque famiglie di New York, che in questo modo erano diventate Bonanno, Colombo, Genovese, Lucchese e Gambino.

Joe aveva costruito un impero, basato sulla regola aurea dell’omertà e della fedeltà assoluta. Un risultato che aveva raggiunto puntando molto anche sulle origini siciliane dei collaboratori più stretti, che in pratica venivano tutti da Castellammare del Golfo. Si era allargato in Arizona, California e Canada, dove in breve i Bonanno erano diventati la famiglia dominante. Aveva puntato sui business tradizionali del crimine organizzato, ma anche su molte attività legittime, che gli avevano permesso di acquistare più soldi, potere e rispettabilità. La sua figura era così leggendaria, da aver contribuito all’ispirazione del personaggio di Vito Corleone nel «Padrino», libro e film.

I guai erano cominciati negli anni Sessanta, quando, mettendosi d’accordo con i suoi alleati della famiglia Colombo, aveva cercato di far fuori i capi dei Gambino e dei Lucchese. Il complotto era fallito e ne era scaturita una guerra passata alla storia come la «Banana split». I Bonanno erano stati cacciati dalla Commissione, la cupola che guidava gli affari delle famiglie di New York, e Joe si era dovuto nascondere e poi ritirarsi a Tucson, in Arizona.

I capi che avevano preso il suo posto, prima Carmine Galante e poi Philip Rastelli, erano nulla al confronto. Al punto che consentirono lo smacco forse più imbarazzante nella storia della mafia americana: l’infiltrazione per sei anni da parte dell’agente dell’Fbi Joe Pistone. Si era presentato come Donnie Brasco, era arrivato nel cuore dell’organizzazione, e l’aveva distrutta. Nuovo soggetto da film, stavolta meno onorevole del «Padrino», e nuova espulsione della famiglia dalla cupola.

Le cose per i Bonanno si erano riaggiustate solo nel 1991, con l’arrivo del nuovo boss «Big Joe» Massino, che alleandosi con Gotti aveva riportato la famiglia nella Commissione. Era l’epoca in cui il killer Thomas Pitera riservava alle sue vittime il trattamento «Samsonite»: le faceva a pezzi sotto la doccia e le chiudeva in una valigia.

Eppure proprio Massino, nel 2004, ha tradito. Incastrato dagli inquirenti, ha deciso che invece di salvare la famiglia mafiosa di adozione, preferiva salvare sua moglie. È diventato il primo boss attivo a collaborare con la giustizia e denunciare i compagni. Tra di loro anche il violento capo Vincent «Vinny Gorgeous» Basciano, che Massino ha quasi spedito alla pena di morte, registrando di nascosto le loro conversazioni in carcere. Nel frattempo i Bonanno hanno perso pure il controllo dei loro affari in Canada, perché a novembre il boss Salvatore «Sal the Iron Worker» Montagna è stato ammazzato dai killer dei rivali, mentre scappava nuotando in un fiume ghiacciato.

Ora la storia si è ripetuta, con il tradimento del genero del consigliere Anthony Graziano, e la famiglia è rimasta senza testa. Non ci sono eredi di sangue pronti a prenderne il controllo, e questo spinge gli inquirenti ad azzardare l’ipotesi che i Bonanno potrebbero essere in via d’estinzione. È presto per dirlo, e comunque restano in piedi le altre famiglie. Il cambiamento della mentalità e della cultura, però, è quello che potrebbe davvero condannare al ridicolo questo terribile pezzo della storia americana.

Creata una foglia artificiale capace di produrre energia

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artificiale capace di produrre energia
Daniel Nocera con la foglia artificiale che produce energia

Parlando al Meeting Nazionale della American Chemical Society in California, il Professore Daniel Nocera, del MIT sostiene di avere creato una foglia artificiale, realizzata con materiali stabili e poco costosi, che imita il processo di fotosintesi della natura.

Il dispositivo è una cella solare avanzata, non più grande di una carta da gioco, capace di galleggiare in una pozza d’acqua. Poi, proprio come una foglia naturale, utilizza la luce solare per dividere l’acqua nelle sue due componenti principali, ossigeno e idrogeno, che vengono memorizzati in una cella a combustibile da utilizzare nella produzione di energia elettrica.

La foglia creata da Nocera è stabile – nei test preliminari è stata capace di funzionare di continuo per 45 ore senza un calo dell’attività – e costruita con materiali ampiamente disponibili e poco costosi. Ad esempio il silicio, alcuni componenti elettronici e catalizzatori chimici. E’ anche potente, fino a dieci volte più efficiente nel realizzare la fotosintesi rispetto alle foglie naturali.

Con un singolo gallone di acqua, dice Nocera, il chip potrebbe produrre abbastanza elettricità per alimentare una casa per l’intera giornata. Fornendo ogni casa del pianeta con una foglia artificiale si sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno di 14 terrawatt con un solo gallone di acqua al giorno.

Le affermazioni del Professor Nocera sono impressionanti e non si tratta di semplici concetti. Nocera ha già firmato un contratto per commercializzare la sua idea rivoluzionaria. Il gigante indiano Tata Group ha stretto un accordo per la costruzione di un impianto di piccola potenza, delle dimensioni di un frigorifero, in circa un anno e mezzo.

Questa non è la prima foglia artificiale costruita, naturalmente. Il concetto di emulazione della natura per generare energia è studiato da alcuni decenni e molti scienziati hanno cercato di creare questo tipo di sistemi. Il primo, costruito più di dieci anni fa da John Turner del Laboratorio US National Renewable Energy, è stato efficiente nel simulare la fotosintesi, ma era fatta di materiali rari ed estremamente costosi. Si è rivelato anche molto instabile e aveva una durata di appena un giorno.

Per ora, Nocera sta focalizzando gli occhi sulla paesi in via di sviluppo. “Il nostro obiettivo è quello di rendere ogni casa una piccola centrale elettrica”, ha detto. “Si potrebbero immaginare villaggi in India e in Africa, tra non molto tempo, acquistare un sistema di alimentazione di base a basso costo basato su questa tecnologia”.

2012


giovedì 2 febbraio 2012

Ciao!!


Le penne nere dell'Archaeopteryx

Con una nuova analisi con un microscopio elettronico a scansione è stato possibile identificare i melanosomi, le parti delle cellule che producono la pigmentazione, che avrebbero fornito anche un ulteriore sostegno strutturale

Le sue penne erano rigide, resistenti e di colore nero: sono queste le conclusioni di un nuovo studio su alcuni reperti fossili di Archaeopteryx condotte da un gruppo internazionale di ricerca guidato dalla Brown University. In particolare, l'analisi ha permesso di evidenziare come la struttura delle stesse penne fosse identica a quella degli attuali uccelli, il che porterebbe a concludere che le penne moderne si siano evolute già 150 milioni di anni fa, nel periodo Giurassico.

“Se il volo dell'Archaeopteryx era planato o ad ala battente, la presenza di melanosomi, le parti delle cellule che producono la pigmentazione, avrebbe fornito alle penne un supporto strutturale aggiuntivo” ha spiegato Ryan Carney, biologo evoluzionista della Brown e primo autore dello studio apparso su "Nature Communications". “Probabilmente, questa caratteristica ha conferito un vantaggio durante il primo stadio evolutivo del volo dei dinosauri”.

Le penne nere dell'Archaeopteryx 
© Louie Psihoyos/Corbis

La penna dell'Archaeopteryx fu scoperta in un deposito di calcare in Germania nel 1861, un solo anno dopo la pubblicazione da parte di Charles Darwin de L'origine delle specie. I paleontologi hanno basato su questo e su altri reperti attribuiti ad Archaeopteryx l'idea che i dinosauri fossero alla base dell'albero evolutivo degli uccelli.

In effetti, ciò che rende Archaeopteryx uno stadio intermedio tra dinosauri e uccelli, spiegano gli autori dello studio, è la combinazione di caratteristiche anatomiche da rettile (denti, zampe dotate di artigli e coda ossea) e da uccello (ali dotate di penne e furcula, un osso a forcella che deriva dalla fusione delle clavicole e che ha la funzione di sostenere lo sforzo del volo).

Ad assillare gli studiosi era la mancanza, finora, di informazioni sulla struttura delle
penne e sui colori. Carney, insieme con i colleghi della Yale University, dell'Università di Akron, e del laboratorio Carl Zeiss, in Germania, ha analizzato la penna e scoperto che si tratta di una delle copritrici, così battezzate perché ricoprono le penne primarie e secondarie delle ali degli uccelli utilizzate per il volo. Dopo due tentativi senza successo di produrre immagini dei melanosomi, il gruppo ha provato con un microscopio elettronico a scansione del laboratorio Zeiss, dove il gruppo ha individuato centinaia di strutture ancora presenti nella penna fossile.

“La terza è stata la volta buona, e infine abbiamo trovato la chiave per risalire al colore originale della penna, un mistero rimasto celato nella roccia per 150 milioni di anni”, ha aggiunto Carney.

In realtà i melanosomi erano stati individuati in altre penne fossili, ma sono stati scambiati per batteri. Ma nel 2006, Jakob Vinther, coautore dell'articolo, scoprì melanina ben conservata nel sacco dell'inchiostro di un calamaro fossilizzato.

“Quel risultato mi ha fatto pensare che la melanina possa rimanere fossilizzata in molti tipi di reperti, tra cui le penne”, ha concluso Vinther, che ora lavora presso l'Università del Texas a Austin. "Ho così capito di aver aperto un capitolo completamente nuovo su ciò che possiamo fare per comprendere la natura dei dinosauri e degli uccelli con penne estinti”.

Neyo - Monster


Stan - Eminem feat Dido


Love The Way You Lie ft. Rihanna


L' Impero dei Dinosauri - Part 1


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