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lunedì 23 gennaio 2012

Fare a meno della materia oscura? Si può

Una nuova ricerca internazionale a cui l'Italia partecipa con ricercatori dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte ha testato con successo una versione modificata della legge di gravitazione universale, rendendo superflua l’ipotesi della massa mancante dell’universo

La legge della gravitazione universale di Newton è proprio universale? La domanda a prima vista potrebbe sembrare oziosa, tenuto conto dell'enorme quantità di conferme sperimentali che ha avuto negli ultimi secoli. Sulla Terra i gravi cadono tutti con la stessa accelerazione, e questo è un fatto già verificato da Galileo Galilei.

Guardando allo spazio, i pianeti percorrono le loro orbite seguendo la legge newtoniana, secondo cui la forza gravitazionale tra due corpi è attrattiva, diretta lungo la congiungente e di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale all'inverso del quadrato della mutua distanza. La legge di gravitazione newtoniana viene poi trovata come limite della più ampia legge di gravitazione di Einstein, meglio nota come teoria della Relatività Generale.

Se si ritiene valida la teoria della gravitazione di Newton, tuttavia, osservando il moto di galassie a spirale qualcosa non funziona: la massa che risiede nelle loro componenti ordinarie (stelle, polveri e gas) e osservabili attraverso la “luce” che esse emettono non è sufficiente per rendere conto della velocità di rotazione misurate da Terra. È così che è sorto il problema della “massa mancante” dell'universo, ribattezzata anche “materia oscura” per evidenziare come, per far tornare i conti, essa debba esistere senza poter essere osservata direttamente.

 Fare a meno della materia oscura? Si può
La galassia ellittica Centaurus A. Credit & Copyright: Jean-Charles Cuillandre (CFHT) & Giovanni Anselmi (Coelum Astronomia), Hawaiian StarlightE se si facesse a meno dell’ipotesi della materia oscura, modificando le leggi dinamiche della gravitazione per rendere conto dei dati osservativi? È quello che si sta facendo ormai da quasi tre decenni con la cosiddetta dinamica newtoniana modificata (MOND) proposta per la prima volta da Mordehai Milgrom nel 1983.

Un approccio diverso da MOND è stato invece utilizzato nell’analisi di galassie

ellittiche in uno studio di un’ampia collaborazione internazionale che comprende un gruppo di ricercatori dell’INAF-Osservatorio di Capodimonte e delle Università di Napoli, California Santa Cruz e Zurigo.

“Da un po' di anni stiamo studiando la dinamica delle galassie ellittiche utilizzando, come traccianti delle velocità e della distribuzione dei moti all'interno delle galassie ellittiche le nebulose planetarie, stelle giunte al termine del loro ciclo evolutivo, per trovare segnali della presenza di materia oscura”, ha esordito Nicola Napolitano dell’INAF - Osservatorio Astronomico di Capodimonte, primo autore dell’articolo accettato per la pubblicazione sull’”Astrophysical Journal”, illustrando a “Le Scienze” i risultati della ricerca.

“E in effetti abbiamo dimostrato in diversi lavori come i moti delle stelle, e in particolare di queste nebulose planetarie, potesse essere giustificato con la presenza di questi aloni di materia oscura; contemporaneamente, all'Università Federico II di Napoli, il prof. Salvatore Capozziello studiava le teorie estese della gravitazione note come teorie f(R) che sostanzialmente modificano estendono l'approccio di Einstein senza minarlo nei sui fondamenti, verificandone gli effetti dinamici a tutte le scale, da quelle del sistema solare fino quelle cosmologiche”.

 Fare a meno della materia oscura? Si può
Una spettacolare immagine della galassia a spirale M66 ripresa dal telescopio spaziale Hubble. Credit: NASA, ESA, Hubble Heritage, S. Van Dyk (JPL/IPAC), R. Chandar (U. Toledo), D. De Martin & R. GendlerIl trait d’union tra i due campi di ricerca è rappresentato al fatto che queste teorie, quando si considerano i limiti alle basse velocità tipiche del moto di tutte le stelle, producono modifiche ai potenziali gravitazionali derivati dalla teoria classica newtoniana. Così è nata l’idea di verificare che cosa potesse succedere applicando tali potenziali alle galassie ellittiche. E i risultati sono stati sorprendenti.

“Il fatto è che le teorie f(R) modificano il potenziale newtoniano aggiungendo un termine di forza che rende conto dei moti delle galassie senza bisogno di postulare la presenza della materia oscura”, ha sottolineato Napolitano. “Era un po' di tempo che progettavamo di fare test sulle galassie ellittiche, sistemi molto complessi di cui non è nota con precisione né la geometria interna né l’inclinazione, ma avevamo bisogno di un campione minimo e abbiamo quindi aspettato di avere dati relativi ad almeno tre galassie ellittiche: l'accuratezza dei modelli che siamo riusciti a ottenere ci ha impressionato”.

L’ipotesi della materia oscura è superflua, dunque? È presto per dirlo. Occorreranno altre conferme sperimentali per questo tipo di approccio.

“Il modello cosmologico basato sull’ipotesi della materia oscura è ancora incerto ed è opportuno iniziare a esplorare seriamente anche alternative alla materia oscura”, ha concluso Napolitano. “Chiaramente noi manteniamo un approccio neutrale: la discriminante verrà probabilmente dagli esperimenti di fisica delle particelle, che nelle intenzioni, dovrebbe aiutare a chiarire la natura dei costituenti della materia oscura o a escluderne l’esistenza”.

Un computer in grado di cambiare i propri circuiti

Un computer in grado di ristrutturare i propri circuiti hardware: è questa la prospettiva aperta da una ricerca in cui è stato sviluppato un nuovo nanomateriale che consente il controllo costante della funzione dei suoi componenti e, al bisogno, di trasformare, per esempio, una resistenza in un transistor 

Un computer in grado di ristrutturare il proprio hardware: è la prospettiva aperta dalla ricerca di un gruppo di scienziati della Northwestern University che ha sviluppato un nuovo nanomateriale in grado di "guidare" a livello di hardware i flussi di corrente elettrica.

"La nostra tecnologia permette il controllo diretto dei flussi di corrente attraverso un pezzo di materiale continuo", ha detto Bartosz A. Grzybowski, che ha diretto la ricerca e firma con i colleghi un articolo sulla rivista "Nature Nanotechnology". "I flussi di elettroni possono essere indirizzati in più direzioni attraverso un blocco del materiale. E' possibile addirittura controllare più flussi che scorrano in direzioni opposte allo stesso tempo."

Con la miniaturizzazione sempre più spinta dell'elettronica, i materiali con cui sono costruiti i circuiti cominciano a perdere le loro proprietà e a essere influenzati da fenomeni di tipo quantistico. Per cercare di aggirare questa "barriera" alla miniaturizzazione, una linea di approccio è stata quella iniziare a produrre circuiti che si sviluppassero non in piano, ma in tre dimensioni, impilando i componenti uno sopra l'altro.
 
I ricercatori della Northwestern University hanno invece studiato la possibilità di materiali che siano riconfigurabili per soddisfare le diverse esigenze di calcolo che possono presentarsi in differenti momenti o situazioni. In pratica, sulla base di segnali provenienti dal computer stesso, il materiale può riconfigurarsi trasformando per esempio una resistenza in un raddrizzatore, un diodo o un transistor.

Il materiale ibrido è composto da particelle di un materiale conduttore poste a intervalli di cinque nanometri, dotate di un rivestimento creato con una particolare sostanza chimica dotata di carica positiva. Le particelle rivestite sono "affogate" in una matrice di ioni negativi che bilanciano le cariche positive del rivestimento. Applicando una tensione al materiale, gli atomi carichi negativamente possono essere spostati e riconfigurati, mentre le particelle positive, relativamente più grandi, non sono in grado di muoversi. In questo modo, le regioni di bassa e alta conduttanza possono essere modulate, creando differenti percorsi al flusso di elettroni che attraversano il materiale.

"Oltre che a servire da ponte tridimensionale fra elementi a tecnologia tradizionale, la natura reversibile di questo nuovo materiale potrebbe consentire a un computer di reindirizzare e adattare i propri circuiti a quanto richiesto in un determinato momento" ha detto David A. Walker, che ha partecipato alla ricerca.

Raptorex kriegsteini, il tirannosauro in miniatura

Ritrovato in Cina, non superava il metro di lunghezza ma riproduceva fedelmente l'anatomia scheletrica del T. Rex, dotato di una massa 90 volte superiore

 
Quando si pensa al Tyrannosaurus rex, vengono subito alla mente alcuni caratteri fisici fondamentali: un’enorme cranio con potenti mascelle, piccole zampe anteriori e muscoli da corridore su quelle posteriori.

Ma l’esemplare di tirannosauride trovato in Cina potrebbe cambiare in modo decisivo l'immaginario pubblico, sia perché questo suo cugino, pur rispettandone fedelmente l'anatomia, non misurava più di un metro di lunghezza, sai perché il ritrovamento retrodata la comparsa d questo tipo di animali di alcune decine di milioni di anni.
Il risultato, pubblicato sulla versione online della rivista "Science" implica che le particolari caratteristiche fisiche del Tirannosauro non evolvettero via via che il predatore aumentò di dimensioni: esse si dimostrarono infatti efficienti per procacciarsi il cibo in dinosauri di tutte le dimensioni durante il periodo Cretaceo.

Paul Sereno, ricercatore dell'Università di Chicago ed esploratore del National Geographic, e colleghi hanno studiato il nuovo fossile di piccole dimensioni, battezzato Raptorex kriegsteini e che secondo le stime sarebbe morto da giovane adulto, e le hanno confrontate con quelle del parente di grandi dimensioni.
In base alle conclusioni della ricerca, l'anatomia scheletrica di R. kriegsteini è semplicemente quella di T. rex ma in scala, con una massa complessiva di circa 90 volte inferiore. Il nuovo fossile potrebbe essere ora utilizzato per proporre e descrivere i tre principali stadi evolutivi della storia di tirannosauridi. (fc)

I tumori dei dinosauri

L'esame delle ossa rivela che anche i dinosauri avevano il cancro e che le malattie erano essenzialmente simili a quelle degli esseri umani 

Molti dinosauri avevano il cancro. Una ricerca rivela che i loro tumori erano simili a quelli degli esseri umani, il che dimostra che la malattia esiste, essenzialmente identica, da moltissimo tempo. "I tumori sembrano gli stessi, - commenta il radiologo Bruce Rothschild del Northeastern Ohio Universities College of Medicine - indipendentemente da quale creatura ne è colpita". Il team di Rothschild ha girato per il Nord America con una macchina per raggi X portatile, effettuando scansioni di 10.000 vertebre di dinosauro appartenenti a 700 esemplari di vari musei. Gli scienziati hanno esaminato dinosauri ben noti, come stegosauri, triceratopi e tirannosauri. Solo uno dei gruppi - gli adrosauri, o "dinosauri a becco d'anatra" - soffriva di cancro. I ricercatori hanno scoperto 29 tumori nelle ossa di 97 esemplari di questo gruppo di erbivori del Cretaceo, vissuto circa 70 milioni di anni fa. Che i dinosauri potessero sviluppare tumori era già stato ipotizzato in precedenza, ma questo è il primo studio su larga scala che si occupa dell'argomento. Gli scienziati hanno anche scoperto che alcune ossa, in passato ritenute cancerogene, presentavano soltanto fratture mal guarite. Non è certo che cosa faceva ammalare gli adrosauri, anche se Rothschild nota che si cibavano di conifere, ricche di sostanze chimiche carcinogene. La struttura delle loro ossa indica inoltre che fossero animali a sangue caldo, il che potrebbe aver aumentato il rischio di cancro. B. M. Rothschild, D. H. Tanke, M. Helbling, L.D. Martin, Epidemiologic study of tumors in dinosaurs. Naturwissenschaften, pubblicato online, doi:10.1007/s00114-003-0473-9 (2003). 

Un solo dito per il cugino di T. rex

il nuovo fossile mostra la complessità dell'evoluzione della zampa anteriore

Era un parente del tirannosauro, ma aveva le dimensioni di un grosso pappagallo e un unico grande dito il nuovo dinosauro scoperto nella Mongolia interna da un gruppo internazionale di ricercatori, che ne dà notizia in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Il nuovo dinosauro - battezzato Linhenykus monodactylus, dal nome della città di Linhe. vicina al sito del ritrovamento - appartiene agli Alvarezsauroidea, dinosauri carnivori del gruppo dei teropodi, che comprende anche temibili predatori come Tyrannosaurus e Velociraptor, e un cui ramo ha successivamente dato origine agli attuali uccelli.

Il fossile è stato rinvenuto nella formazione rocciosa di Wulansuhai, al confine fra Mongolia e Cina, che risale al Cretaceo superiore.

Questo nuovo teropode aveva l'inusuale caratteristica di possedere un unico grande artiglio forse utilizzato per esplorare i nidi degli insetti. Di fatto si tratta dell'unico dinosauro noto con un solo dito per zampa. "I teropodi non uccelli avevano all'inizio cinque dita, ma solamente tre nelle forme che si sono successivamente evolute. Il tirannosauro era insolito perché ne possedeva due funzionali ma con il suo unico dito il Linhenykus mostra quanto complesse ed estese sono state le modificazioni della zampa dei teropodi", ha osservato Michael Pittman, scopritore del fossile e co-autore dell'articolo.

Le ragioni della perdita delle altre due dita in Linhenykus non sono chiare e può semplicemente riflettere il fatto che non esse non sono state conservate attivamente dalla selezione naturale. "Strutture vestigiali, come quelle degli arti inferiori nei serpenti e nelle balene possono comparire e scomparire in modo apparentemente casuale nel corso dell'evoluzione. Linhenykus mostra la complessità dell'evoluzione della zampa anteriore."

Linhenykus viveva in un ambiente in cui erano presenti diversi altri teropodi di taglia analoga, ma le specializzazioni del suo scheletro riflettono chiare differenze di comportamento e di strategie di approvvigionamento del cibo. (gg)

Conservato nell'ambra il piumaggio dei dinosauri

11 campioni che rappresentano diverse fasi evolutive delle penne dei dinosauri sono stati rinvenuti in un deposito di ambra in Canada.


Un autentico campionario del piumaggio che adornava alcuni dinosauri è stato scoperto nel più grande deposito di ambra del Canada, situato in prossimità del lago di Grassy nel sud-ovest dello Stato dell'Alberta. Che alcuni dinosauri possedessero un manto di penne era stato dimostrato da diversi reperti fossili scoperti in Cina che riportavano tracce di queste strutture anatomiche, ma questa è la prima volta che vengono alla luce, conservate per 80 milioni di anni nella resina dell'ambra, le protopenne di questi animali.

La scoperta è descritta in due articoli pubblicati sulla rivista Science, uno dedicato alla loro analisi strutturale, a firma di ricercatori dell'Università dell'Alberta, e un altro a firma di ricercatori dell'Università di Manchester che, con il supporto degli scienziati dello SLAC (National Accelerator Laboratory, Linac Coherent Light Source) a Menlo Park hanno condotto un'analisi dei pigmenti in esse contenute.

Si tratta di 11 campioni che rappresentano diverse fasi evolutive delle penne, la cui struttura si è via via articolata: "Abbiamo penne che sembrano essere poco filamentose, simili a capelli, abbiamo filamenti aggregati in gruppi, e infine ne abbiamo una serie che a tutti gli effetti sono identiche alle penne moderne", ha dichiarato McKellar, primo firmatario dell'articolo dedicato all'analisi strutturale. Quelle più evolute, hanno osservato i ricercatori, sono molto simili a quelle degli odierni uccelli acquatici, ma - hanno aggiunto - nessuna di quelle ritrovate è adatta al volo: la loro funzione doveva essere squisitamente ornamentale.

Le penne devono il loro colore alle strutture cellulari, melanosomi, che contengono melanina. Le analisi condotte sui primi resti di dinosauri con penne finora condotte hanno già portato ad alcune scoperte sulla loro colorazione: lo Sinosauropteryx, per esempio, possedeva una livrea con una dominante presumibilmente rossa. Tuttavia quel tipo di analisi doveva fare i conti con il decadimento di quelle strutture e della melanina. Le nuove analisi potranno dare conferme più sicure. Intanto, i ricercatori hanno già potuto appurare che in ogni caso quei colori non erano affatto opachi, come quelli che caratterizzano gran parte dei rettili odierni, ma brillanti.

:)


Buon 2012!!!!

Evviva!
Sono stati i primi 6 mesi di questo Blog..e posso dire che sono stati dei mesi fantastici!!
Ora bisogna continuare.. è arrivato il momento!!!!

Buona Terra a Tutti.