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giovedì 19 aprile 2012

Lo Chiamavano Trinità - Completo


[DIVX ITA] Blow - Jonny Deep (film completo)


La leggenda di Al, John & Jack - FILM COMPLETO


Snoop Dogg & Wiz Khalifa - Young, Wild and Free (Traduzione)(ft. Bruno Mars)


Hello - Bob Sinclar


L’evoluzione della luna nella bellissima ricostruzione della Nasa - VIDEO


La Luna si formò all’incirca 4.5 miliardi di anni fa. Due miliardi di anni dopo, dallo scontro con un meteorite, nacque l’enorme cratere Aitken, al Polo sud. In quel periodo (da 4.1 a 3.8 miliardi di anni fa) la Luna era costantemente bombardata da asteroidi e comete che giravano per il nostro sistema solare, residui della formazione dei pianeti. Impatti che lasciarono il segno sotto forma di innumerevoli crateri.

Poi, 3.8 miliardi di anni, ci fu un’intensa attività vulcanica (oggi ne restano tracce come basalti e rocce scure). Le antiche distese di lava formano quelli che noi oggi definiamo i «mari» lunari.

mercoledì 18 aprile 2012

Kevin prince Boateng - AC Milan


www.paleofox.com - il portale della paleontologia italiana

Ducati ai tedeschi di Audi per 860 milioni di euro

La vendita al gruppo Volkswagen

Berlino
La proprietà di Ducati è ormai a un passo dallo scavalcare le Alpi, direzione Ingolstadt, al centro della Baviera. Si rincorrono con insistenza le voci che danno ormai per certa l’acquisizione di Borgo Panigale da parte della casa automobilista tedesca Audi, che dovrebbe essere annunciata ufficialmente già domani. Per le rosse a due ruote la consociata Volkswagen, avanza la stampa tedesca, sarebbe pronta a sborsare 860 milioni di euro, debiti inclusi. Meno del miliardo che secondo indiscrezioni avrebbe chiesto il fondo InvestIndustrial di Andrea Bonomi, ma abbastanza per chiudere l’affare. Che dovrebbe essere reso noto nelle prossime ore, dopo aver ricevuto, nel pomeriggio, l’autorizzazione dei consigli di vigilanza di Audi e della sua holding Volkswagen.

La notizia arriva proprio nel giorno del compleanno dell'eminenza grigia del gruppo di Wolfsburg, quel Ferdinand Piech oggi a capo del consiglio di vigilanza che tanto ha contribuito a costruire l’impero Volkswagen, di cui Ducati diventerebbe il dodicesimo marchio. L’ambizioso nipote di Ferdinand Porsche, inventore del maggiolone, ha un debole di vecchia data per le rosse di Borgo Panigale. Che oggi ha fatto valere, nonostante alcuni nel gruppo non vedessero di buon occhio l’acquisto di un’azienda indebitata - si stima per una cifra sotto ai 200 milioni di euro -, seppur di grande fascino. La rincorsa alla rivale Bmw, che sulle due ruote va già da anni e con un certo successo, sembra ardita. Soprattutto in un momento in cui il mercato motociclistico in Europa si è dimezzato e la crisi ha reso la moto un oggetto quasi "di lusso". Ma Piech ha lo sguardo lungo e con Martin Winterkorn, presidente del gruppo Volkswagen, sembra puntare lontano, ai mercati asiatici in espansione.

Così anche Ducati - rilevata dal fondo di Bonomi nel 2005 in forte crisi - è arrivata, con i suoi mille dipendenti, le 40mila moto vendute e un fatturato poco superiore ai 480 milioni di euro nel 2011. Proprio come prima di lei erano arrivati altri protagonisti controversi dei sogni di Piech, i marchi di lusso Bentley e Bugatti, per esempio. Per completare la sua opera, ora, al potente capo del consiglio di vigilanza manca solo la chiusura del passaggio del marchio Porsche sotto il mantello Volkswagen. Poi la strada verso il primato mondiale delle vendite, cui punta il gruppo Volkswagen, sarà spianata. Da domani, con tutta probabilità, Ducati contribuirà alla corsa. Seppur anche solo con la sua immagine di "rossa" bella e vincente.




La Volkswagen, vocabolo che in tedesco significa letteralmente vettura del popolo, nacque sotto la dittatura nazionalsocialista di Adolf Hitler, nel 1937, per suo volere.
Negli anni trenta, infatti, Hitler voleva far realizzare un'automobile che potesse essere in grado di motorizzare il popolo tedesco di classe meno abbiente, che non poteva permettersi le lussuose e costosissime Mercedes-Benz. L'incarico di realizzarne il progetto venne affidato all'ingegnere Ferdinand Porsche, titolare dell'omonimo studio di progettazione nato nel 1931, col diktat di creare un'auto compatta, economica, semplice e robusta, facile da costruire in grande serie ed economicamente accessibile.
Nel 1936 vennero presentati 3 prototipi (2 berline e una cabriolet) al Führer, che diede ordine di trovare un luogo dove far sorgere la fabbrica per la produzione dell'auto del popolo. Fu scelta la città di Wolfsburg, in Bassa Sassonia, non molto distante da Hannover.
La cerimonia di posa della prima pietra, presieduta, ovviamente, da Hitler, si svolse nel 1938, ma poco tempo dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale costrinse a convertire il progetto Typ 1 da civile a militare. Nacquero così le Kübelwagen (auto-tinozza), usate come mezzo di trasporto leggero dagli ufficiali della Wehrmacht e la "Schwimmwagen" (l'auto che nuota, ovvero anfibia).
Lo stabilimento principale di Wolfsburg
La catena di montaggio del Maggiolino
Terminato il conflitto, grazie all'iniziativa di Ivan Hirst, maggiore dell'esercito, e di Ferdinand Anton Porsche (figlio di Ferdinand), la fabbrica della Volkswagen a Wolfsburg venne riaperta. La direzione fu affidata a Heinz Nordhoff, ed il modello progettato nell'anteguerra, opportunamente aggiornato, entrò finalmente in produzione e fu immesso sul mercato con il nome commerciale di Volkswagen 1200, meglio conosciuto in tutto il mondo come Maggiolino (oppure Kaefer, Beetle o Coccinelle, a seconda della lingua dei paesi di commercializzazione). Il successo fu immenso.
Dal Maggiolino derivarono altri modelli di successo: il Typ 2, un veicolo commerciale di dimensioni medie, meglio noto successivamente come Transporter nella versione furgone e Microbus nella versione per trasporto passeggeri, e le vetture sportive Typ 83 (meglio note come Karmann-Ghia Coupé e Cabriolet).
Gli anni sessanta furono dedicati a ricercare un'erede al Maggiolino, in produzione da ormai quasi trent'anni, senza rinnegarne l'impostazione tecnica. Vennero così introdotte le 1500/1600 e 411/412, che riscossero però un successo scarsissimo. Fu effettuato un primo tentativo di berlina media, proponendo la K 70, che riscosse anch'essa un successo basso. Intanto il Maggiolino, visto questo insuccesso degli altri modelli, proseguì la sua brillante carriera. Vennero apportate, tra l'altro, importanti modifiche stilistiche sia alla versione berlina che a quella cabriolet: in questi anni l'auto veniva chiamata comunemente con l'accrescitivo Maggiolone.
All'inizio degli anni anni settanta, comunque, non era ancora stata creata una degna erede del Maggiolino. Nel frattempo la casa tedesca era entrata in piena crisi finanziaria ed era urgentemente necessaria una nuova gamma di modelli, basati sulla trazione anteriore e contraddistinti per lo più da un design personale. Si decise così di affidarsi all'estro stilistico del giovane Giorgetto Giugiaro. Dalla sua "matita" vennero fuori veri successi, come la berlina media Passat (1973), erede della K 70, la coupé Scirocco (1974) e l'utilitaria Polo (1975). Ma la vettura Volkswagen più riuscita del designer torinese è la Golf, presentata nel 1974 come la tanto agognata erede del Maggiolino. Quest'ultimo, invece, venne assemblato in Europa fino al 1978, anno in cui la produzione fu confinata al Sudamerica. Nel 1979, furono presentate la Golf Cabriolet (realizzata dall' austriaca Karmann) e la Jetta, una berlina considerabile come versione a 3 volumi della Golf, con modifiche al frontale.
La Volkswagen Golf (quarta serie)
Negli anni ottanta uscirono le nuove generazioni dei modelli introdotti nel decennio precedente, centrando nuovamente il successo.
Negli anni novanta la gamma fu estesa con l'introduzione della citycar Lupo nel 1998 (gemella della SEAT Arosa con cui condivideva il pianale), delle versioni familiari, denominate Variant, di Golf (1994) e Polo (1997) e della monovolume di grosse dimensioni Sharan nel 1995, realizzata con un progetto comune con la Ford (era infatti gemella della Ford Galaxy prima serie). Il nome Jetta, invece, a causa dello scarso successo commerciale della vettura in Europa, fu cambiato e lasciò il posto a quello di Vento prima, per la terza serie della vettura (1992), e Bora poi, per la quarta serie (1999). Nel 1992 la terza generazione della Golf guadagna il premio di Auto dell'Anno. Ma la novità più interessante in questi anni fu sicuramente la nascita della New Beetle, edizione in chiave moderna del leggendario Maggiolino, che fece il suo debutto nel 1998 negli Stati Uniti, mentre in Europa fu commercializzata dall'anno successivo. Rispetto al Maggiolino, la New Beetle nasce come auto di classe ed è basata sulla Golf. Fino ad ora non è riuscita ad emulare l'incredibile successo di vendite dell'antenata. Ai vertici della Volkswagen, nel frattempo, Hahn lascia il posto a Ferdinand Piech (1993), nipote di Ferdinand Porsche. Nel 1997 inizia lo sviluppo della W12, una concept car ad alte prestazioni che stabilirà numerosi record di velocità, ma che non avrà poi un seguito produttivo.
Nel 2000 vengono introdotti i propulsori turbodiesel TDI con tecnologia iniettore-pompa, mentre nel 2001 debutta il motore a benzina FSI ad iniezione diretta.
Nel 2002 nasce la prima ammiraglia di lusso della Volkswagen, la Phaeton, che condivide il pianale con l'Audi A8, ammiraglia dell'Audi. Nello stesso anno, Ferdinand Piech lascia la presidenza nelle mani di Bernd Pischetsrieder, già in passato presidente della BMW.


APPARTENGONO A WOLKSWAGEN

CR7 - CRISTIANO RONALDO

Guadagna 13 milioni di euro a stagione, ha vinto il Pallone d'oro nel 2008, veste la maglia numero sette del Real Madrid e segna tanto. Ma non è per questo che Cristiano Ronaldo (in copertina su Max di aprile) è l'uomo più invidiato al mondo.
Nemmeno le sue numerose megaville sono argomento di discussione al bar, tra i tifosi, nonostante siano enormi. Come quella kitsch di Alderley Edge, o come quella a Pozuelo de Alarcón, un piccolo rifugio da 4,7 milioni di euro (861 mq di casa più 2.800 di giardino anti-paparazzi) affittabile per 9 mila euro al mese.
Forse qualcuno vorrebbe le sue Bentley, le sue Porsche, le sue Ferrari, le sue Lamborghini o la sua Bugatti, ma non sono certo la maggioranza. Ma cos'è, allora, che suscita così tanta invidia? Facile indovinare, visto che non abbiamo toccato ancora un argomento: le donne.
Sono le sue fidanzate a scaldare gli animi, perché Cristiano è un numero uno in tutto, anche nello scegliersi le donne. Alcune sono famosissime. Altre famose lo sono diventate mettendosi con lui. Non è il caso della splendida Irina Shayk (a breve in esclusiva su max.gazzetta.it, come non l'avete mai vista...), quella che, fino a prova contraria, il bomber porterà all'altare. Bionde e brune, Cristiano Ronaldo ne ha passate tante: fidanzate ufficiali, flirt, scappatelle, amori grandi e tresche assai presunte. Come quelle con la “celebre” nipote di Mubarak Karima El Marhoug (CR7 è ancora possibile teste nel processo “Ruby”).
Ce n'è davvero per tutti i gusti, perché il gruppo è sostanzioso e variegato. Noi le abbiamo raggruppate in una fotogallery imperdibile, che ci conferma, ancora una volta, che Ronaldo è un vero fenomeno.
Qui sotto, invece, l'elenco completo (forse):
1 Alyona Haynes 2 Bipasha Basu 3 Karina Bacchi 4 Carolina Patrocinio 5 Karina Ferro 6 Daniele Aguiar 7 Diana Chaves 8 Gabriela Endringer 9 Gemma Atkinson 10 Imogen Thomas 11 Isabel Figueir 12 Jordana Jardel 13 Letizia Filippi 14 Fernanda 15 Luana Belletti 16 Lucia Garcia 17 Luciana Abreu 18 Maria Sharapova 19 Merche Romero 20 Mia Judaken 21 Nereida Gallardo 22 Niki Ghazian 23 Nuria Bermudez 24 Olivia Saunders 25 Paris Hilton 26 Raffaella Fico 27 Soraia Chaves 28 Tyese Cunnigham 29 Kim Kardashian 30 Karima El Marhoug 31 Irina Shayk


Non penseresti mai che, in realtà, Cristiano Ronaldo nasconda un passato tanto doloroso e penoso. Un segreto che tale sarebbe rimasto se la madre del giocatore, Dolores Aveiro, non avesse deciso di raccontarlo al tabloid Sunday Mirror. "Cristiano ha visto molto da vicino i danni causati dalla droga e dall’alcool – si legge nell’intervista – e questo è il motivo per cui non ha vizi, non beve e non fuma. La sua unica 'droga' si chiama calcio. Mio marito Dinis, il papà di Cristiano, ha bevuto tanto da morirne, mentre mio figlio maggiore Hugo ha cominciato a drogarsi quando Cristiano aveva 14 anni". La scoperta che il padre era un alcolizzato ha avuto un effetto devastante sul giocatore, che ha cercato più volte di convincere il genitore a farsi curare. "Dinis non ha mai voluto farsi ricoverare, voleva solo bere. Lui e Cristiano erano inseparabili prima che mio figlio lasciasse Funchal per diventare un calciatore professionista. La cosa triste è che non sia riuscito a vedere che campione è diventato".
IL LUTTO - Il papà dell’attaccante, un ex giardiniere, è morto 17 mesi fa, all’età di 52 anni e alla vigilia del match di qualificazione ai Mondiali del Portogallo in Russia. Racconta al tabloid un amico di famiglia: "Al funerale, Cristiano non riusciva a smettere di piangere. Suo padre era sempre stato un uomo alto e forte, ma la dipendenza dalla bottiglia aveva avuto effetti terribili anche sul suo aspetto. Cristiano ha visto quali danni può causare l’alcool ed è per questo che gli sta lontano. Probabilmente, ha il talento di Maradona e George Best, ma non vuole finire come loro. Le sue uniche passioni sono il calcio e la sua famiglia. La morte del padre lo ha legato ancora di più alla madre, ai fratelli e alle sorelle e da quel momento è stato lui ad occuparsi di loro". Ma il campione del Manchester ha sofferto moltissimo anche per il fratello Hugo. "Quando scoprii che mio figlio si drogava – confessa oggi la signora Dolores – ho dovuto fare un prestito per mandarlo in un centro specializzato perché non avevo denaro a sufficienza visto che, lavorando come donna delle pulizie, guadagnavo 580 euro al mese, mentre all’epoca Cristiano ne prendeva 250 dallo Sporting Lisbona. Purtroppo però, dopo due anni, Hugo ci è ricascato, ma questa volta è stato Cristiano a pagare tutto. I suoi soldi hanno salvato la vita di Hugo e se mio figlio non avesse fatto il calciatore, le cose sarebbero certo state molto diverse per noi".
SERENITA' RITROVATA - Oggi la famiglia di Cristiano Ronaldo è finalmente serena: Hugo ha 32 anni, non si droga più e lavora come pittore e decoratore, dividendosi fra Madeira e Manchester, mentre la sorella maggiore Katia vive a Lisbona e fa la cantante con il nome d’arte di Ronalda e l’altra (Elma, 29 anni) ha appena aperto la boutique "CR7" a Funchal, combinando le iniziali del celebre fratello con il suo numero di maglia. Mamma Dolores, invece, ha sostituito gli abiti vecchi con le griffe più alla moda e, appena le daranno la patente, si metterà al volante della BMW regalatale dal figlio. Intanto, passa la maggior parte del tempo nel Cheshire, in attesa che finiscano i lavori nella nuova casa di Madeira, anche se pensa con nostalgia al suo primo appartamento, oggi ridotto a un deposito di immondizia e recentemente visitato dai ladri: "E’ stata la mia casa per 24 anni e avrà sempre un posto speciale". Come un posto speciale per Cristiano Ronaldo lo avranno gli amici d’infanzia, perché le radici non si dimenticano e le sofferenze nemmeno. Conferma la signora Aveiro: "Cristiano ha sempre vissuto per il calcio e quello che ha passato gli ha permesso di arrivare dov’è ora. Ancora oggi sono io che mi occupo dei suoi guadagni, che vanno in un fondo intestato a lui e a me. So che grazie al nuovo contratto prenderà molti soldi, ma so anche che i soldi non lo cambieranno mai".
 
                                                             -DAVID THE LEGEND-

Robinho si racconta a Sportweek: "Ibra si incazza sempre"



Una curiosità, Robinho: lei ha mai rischiato di fare a botte con Ibra? Grassa risata – una delle tante che produrrà durante questa intervista – occhioni ridotti a fessure e poi, col tono di chi si sta chiedendo se la persona che gli sta davanti sia matta: «Scusi, mi ha visto bene? Soprattutto: ha visto quanto è grosso lui?». Già, sarebbe come Davide contro Golia, e stavolta senza fionda. Al ricordo di quanto ci mise lo svedese ad atterrare un bestione come Onyewu dopo un tackle in allenamento, e in quanti dovettero mettersi tra loro per dividerli, effettivamente sarebbe un confronto senza speranza – per l’altro. Che, incuriosito, domanda: «Mi spiega perché dovrei fare a botte con lui?».
Perché Ibra è Ibra: se perde si incazza, se la squadra non ne asseconda i movimenti in campo si incazza, se gli passi male il pallone si incazza.
«Appunto: si incazza solo per cose di calcio. Infatti io e lui litighiamo ogni santo giorno. Ma tutto nasce e muore in campo. Fuori è un ragazzo normale, perfino più tranquillo di altri che in partita si sbracciano e parlano meno. A Natale cantavamo insieme sotto l’albero di Milanello. E comunque preferisco uno arrabbiato come Ibrahimovic, a uno molle, che perde palla e non si scompone, che vede la squadra subire e rimane fermo con le mani sui fianchi».

Se è vero che gli opposti si attraggono, Ibra e Binho sono fatti l’uno per l’altro. E in campo si vede. Forse Cassano rimane il partner preferito – per caratteristiche tecniche e affinità caratteriale – del totem rossonero, ma Robinho è lì: i suoi movimenti, la capacità di servire e ricevere a sua volta gli assist del compagno d’attacco, ne fanno da due stagioni la metà ideale di una coppia ben assortita anche dal punto di vista fisico. Il prodotto collettivo di questa intesa è un Milan candidato a bissare lo scudetto vinto l’anno scorso e dopo cinque anni di nuovo nei quarti di Champions; il risultato individuale è la ritrovata vena calcistica (dimenticati i giorni bui in Inghilterra) di Robson de Souza, per tutti Robinho, brasiliano da promozione turistica, giocoliere nei piedi e carnascialesco nello spirito, un concentrato adrenalinico di samba, calcio, allegria.
Cominciamo proprio da qui: lei sembra uno che si diverte sempre, in campo e fuori. Ma i brasiliani sono tutti così?
«Io non ho mai visto un brasiliano triste. Anche nelle difficoltà, anche se non c’è da mangiare, siamo contenti, balliamo e suoniamo. L’unica volta in cui io ho perso il sorriso è stato durante i 41 giorni in cui mia madre è rimasta nelle mani di chi l’aveva rapita».

Eppure la sua è stata la classica infanzia del bambino delle favelas.
«Sono nato a São Vicente, nello Stato di San Paolo. La casa in cui abitavo era più piccola della stanza dove ci troviamo adesso: per fortuna ero figlio unico. Mio padre era un operaio addetto alla rete fognaria, mia mamma faceva la donna delle pulizie. Sulla tavola, riso e uova. Ogni giorno, a pranzo e a cena. Sempre che si riuscisse a mettere insieme l’uno e le altre. Ho cominciato a nutrirmi meglio solo quando sono entrato nel Santos, a 12 anni».

E prima del Santos?
«Vivevo per strada, giocando a pallone dovunque. Ho desiderato tanto una bicicletta e non l’ho mai avuta: “Scegli”, mi diceva papà. “O i soldi per mangiare, o la bici”. E quanto avrei voluto un giochino elettronico! Ma sono stato un bimbo felice. Avevo i miei amici, mi sentivo libero. Anche perché nelle strade del mio Paese c’era meno violenza rispetto a oggi: tanti ragazzi con cui sono cresciuto hanno oggi problemi di droga, altri stanno in galera».

Ha mai pensato che, con un’alimentazione migliore nei primi anni di vita, sarebbe stato più alto e avrebbe avuto un’altra muscolatura?
«Certo che ci ho pensato. Quando arrivai al Santos pesavo 20 chili. Iniziando a mangiare regolare, agli orari giusti, mi aumentò pure l’appetito. Ma al debutto da professionista, a 17 anni, pesavo 57 chili appena: avevo paura che alla prima entrata mi spaccassero. Poi ho capito che la mia statura ridotta e le mie gambette sottili avrebbero fatto la mia fortuna: non è facile starmi dietro e fermarmi, quando scatto o vado via in dribbling».

Santos, Real Madrid, Manchester City, Milan: ha giocato sempre in grandissime squadre. Cosa hanno rappresentato, per lei?
«Il Santos è l’amore. Il club che mi ha fatto diventare professionista. Il Real ha realizzato il mio sogno di giocare in Europa. Mi dispiace solo di essere andato via litigando: non ha fatto bene all’immagine mia e loro. Il City è stato una specie di apprendistato: ho capito che dovevo giocare più per la squadra e meno per me stesso. Ma l’Inghilterra non è il posto giusto per noi brasiliani. Il Milan è la passione. Qui sono tornato a essere felice, e se dipendesse da me rimarrei per i prossimi dieci anni».

La città le piace?
«Milano ha tutto. Ci fosse il mare, sarebbe la città della mia vita. Abito in zona San Siro, la mattina porto a scuola Robson Junior (4 anni, il maggiore dei suoi due figli; l’altro, Gianluca, ha 10 mesi, ndr), poi, se non c’è allenamento, vado a prendere mia moglie in palestra. Ma non posso dire di conoscere bene Milano: a Vivian, per esempio, piace girare per negozi, ma io mi annoio. Preferisco andare alla scoperta dei ristoranti».

Mangia italiano?
«Se vado fuori, solo giapponese. La pasta la mangio qui a Milanello, mia moglie fa cucina brasiliana… E poi è a dieta, e costringe pure me a farla».

Con chi esce?
«Thiago Silva, Yepes, Cassano… A volte vengono a casa mia».

Come passate la serata?
«Si mangia, si parla, si scherza, con la musica in sottofondo.Thiago dice che ho sempre le cuffie sulle orecchie, e ha ragione. Comincio appena sveglio, e poi in auto, mentre il pullman ci porta allo stadio, a casa da solo… Samba, ma anche altro. E canto sotto la doccia. La musica è la cosa che mi piace di più dopo il calcio: se non avessi giocato, sarei diventato certamente un cantante di samba».

Quindi saprà cantare benissimo…
«Macché, sono stonato. Boateng sì che ha una voce straordinaria. Io però sono bravo a suonare i bonghi. Ma lo faccio solo a casa, non come Ronaldinho, che si esibiva pure nei locali».

E Pato? Parlate mai, del suo legame con Barbara Berlusconi?
«Lo prendo sempre in giro: “Comportati bene, se no il padre ti caccia”».

Ma nello spogliatoio non c’è imbarazzo per un compagno fidanzato con la figlia del presidente?
«Nessuno. Con noi, Pato continua a essere lo stesso di sempre, e noi nei suoi confronti. Lui sa quali sono i suoi doveri e fa bene il suo lavoro. Il resto fa parte della sua vita privata».

Dai tempi del Santos a oggi, è cambiato e quanto, come uomo?
«Al Santos ero un ragazzino, pensavo soltanto a scherzare. Ora sono diventato più tranquillo, ho una famiglia, dei bambini».



Ha portato all’altare Vivian Guglielmetti tre anni fa, ma voi due state insieme da una vita.
«Suo papà allenava la squadra di futsal dove giocavo da bambino. Ho conosciuto lei a 9 anni. All’inizio eravamo amici, poi, quando avevo deciso di fare le cose sul serio, ero ancora nel periodo in cui facevo troppo casino. Lei diceva: “Se fai così non possiamo metterci insieme”. A 15 anni sono diventato un po’ più tranquillo e ci siamo fidanzati».

Si dice sempre che per i calciatori sia importante sposarsi presto: è stato così anche per lei?
«Per un brasiliano è fondamentale. Con tutto il rispetto per le donne italiane, le brasiliane sono tanta roba. Da perderci la testa. Infatti, quando torno in Brasile, Vivian mi dice sempre: “Mi raccomando, stai tranquillo, che qui diventi un’altra persona. A Milano sei tutto casa e allenamento, qua invece ti chiamano gli amici e vai…”».

Ma perché, Vivian e i bambini non vengono a São Vicente con lei?
«Sì, ma io esco per conto mio. Però mia moglie è stata importantissima per la mia carriera».
Quindi non ha mai avuto la tentazione di cambiare, in tanti anni.
«Ah, quello sì, tante volte» (ride).

Al Milan c’è un compagno che l’ha sorpresa per quanto è forte?
«Abate. Ma, visto da vicino, Ibra è ancora più forte di quello che credevo».

E dàgli… E perché litigate?
«Perché lui vuole sempre la palla, e non è possibile. Così a ogni partita discutiamo» (ride).

Un episodio particolare?
«Qualche domenica fa: Ibra era in fuorigioco, ma mi faceva cenno lo stesso di servirlo. Io cercavo di dirgli con gli occhi di tornare indietro, e lui niente. Alla fine non gliel’ho passata, e lui ha cominciato a protestare. Siamo andati avanti finché non è finito il primo tempo».

È più difficile capire Gattuso o Cassano, quando parlano il loro dialetto stretto?
«Cassano! Non capisco una parola».

Chi la fa ridere di più?
«Zambrotta e Yepes. Sono due vecchietti, ma insieme fanno un casino incredibile nello spogliatoio».

Dica la verità: quante volte Berlusconi l’ha rimproverata per i gol che ha sbagliato?
«Mai. Ricordo anzi una volta in cui mi disse, dopo un errore sotto porta: tranquillo, che alla prossima farai gol. E così successe».

Ma come fa uno come lei a fallire gol che sembrano fatti?
«Vorrei capirlo anch’io. Quando a Marassi ho tirato alto contro il Genoa a mezzo metro dalla porta, non ho dormito tutta la notte. È che quando le cose sono facili ci vado troppo leggero, non abbastanza cattivo e convinto».

Qual è lo sfizio che ancora non si è tolto?
«Avevo solo un sogno: comprare una casa per sistemare mia madre, toglierla da dov’era. Adesso ci sono riuscito e non voglio altro».

Di cosa è più vanitoso?
«Delle coppe vinte. Non le può toccare nessuno, nemmeno mio figlio. Fai quello che vuoi col televisore, gli dico, ma guai a te se sfiori un mio trofeo!».

Ma non è lei, che si porta dietro il parrucchiere personale dovunque vada?
«Ne ho uno di fiducia, ma è di Milano. Però è vero, i capelli sono la cosa che più mi piace di me. Insieme al sorriso».

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