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mercoledì 12 ottobre 2011

La trovata di ET: “scrivere” unmessaggio nel nostro Dna

«Lasciare un monolite? Idea
rudimentale: un graffito
tra i cromosomi è più sicuro»Avete presente «2001,
odissea nello spazio»?
In quel film una civiltà
extraterrestre fa visita
alla Terra in un remoto
passato (milioni di anni fa) e ci lascia
a testimonianza del suo transito un
monolite, che poi viene riscoperto
dagli umani ai tempi nostri, e il cui
aspetto squadrato ne rivela con certezza
l’origine non naturale.
Ecco, secondo uno scienziato
americano sarebbe ora mettersi a
cercare sulla Terra le tracce delle civiltà
di altri mondi, i cui esploratori
potrebbero aver fatto una capatina
dalle nostre parti.Maanche lo scienziato
in questione, l’astrofisico Paul
Davies (università dell’Arizona), si
rende conto che è improbabile che
troviamo per caso, qua e là, una discarica
di pneumatici abbandonati
delle auto di ET oppure qualche lattina
di birra di un’altra galassia, dimenticata
ad arrugginire qui da noi.
Così Davies propone qualcosa
di molto più sofisticato: per esempio
di andare in cerca di sostanze
chimiche non naturali (e non create
dall’uomo), la cui presenza sul
nostro pianeta fosse spiegabile solo
col fatto che qualcuno ce li ha
portati di proposito, venendo da
fuori, o addirittura di verificare se
nel nostro Dna, o in quello di altre
specie, ci sono sequenze cromosomiche
inutili alla sopravvivenza,
ma scritte deliberatamente nelle
cellule da qualcuno, al solo scopo
di lasciare una firma.
Davies è convinto che se gli extraterrestri
sono davvero passati da
qui, hanno tracciato dei segnali,
equivalenti a scritte sui muri, per
far sapere della loro visita a chi (in
futuro) avesse acquisito la capacità
di leggerli. Nel peggiore dei casi (ipotesi
meno impegnativa) avranno disperso
qualcosa senza volerlo.
Cominciamo da questa seconda
alternativa. In che cosa potrebbero
consistere le tracce lasciate sbadatamente
da ET? Davies fa l’esempio
del plutonio. Questo elemento quasi
non esiste in natura: è stato creato
sulla Terra a partire dagli Anni 40
per fare le bombe atomiche. Perciò,
quello che si trova ora disperso in atmosfera
è dovuto alle centinaia di
esplosioni A e H che abbiamo scatenato
nella nostra follia. In realtà, esistono
anche deboli tracce di plutonio
che si forma naturalmente nelle
miniere di uranio, e qualcosa si genera
pure nelle stelle supernove.
Tuttavia, ragiona l’astrofisico
Davies, se trovassimo sulla Terra
un deposito consistente di plutonio,
di origine certamente non umana
(per esempio, incapsulato dentro
una formazione geologica antica di
milioni di anni e intatta) e la cui esistenza
non è nemmeno spiegabile con
i processi naturali detti sopra, potremmo
pensare di aver trovato le
scorie del passaggio di extraterrestri;
magari una discarica di carburante
nucleare esaurito.
Ma adesso affrontiamo l’ipotesi
più impegnativa e intrigante. Davies
immagina che se gli extraterrestri arrivano
sulla Terra nella preistoria,
trovano degli scimmioni come nel film
«2001» e non riescono a comunicarci,
incorporino il loro messaggio a futura
memoria non in un manufatto (tipo
monolite), ma addirittura nel codice
genetico della specie sulla cui evoluzione
scommettono. Questo guizzo di
fantasia in più aiuta a garantire la durata
del messaggio nel lungo periodo.
Il ragionamento è che tutte le cose materiali
si deteriorano (anche i monoliti)
e non si sa se ci saranno ancora dopo
un milione di anni, mentre il codice
genetico persiste, soprattutto quello
residuale, cioè le porzioni del patrimonio
cromosomico che non hanno più
funzioni da svolgere, ma si trasmettono,
inerti e uguali a se stesse, di generazione
in generazione. Se si scrive un
messaggio fra quelle serie di molecole,
è probabile che non vada più via.
Quale messaggio? Un altro film di
fantascienza ha ipotizzato, ad esempio,
che come firma inequivoca di intelligenza,
interpretabile da civiltà diverse
senza bisogno di vocabolario bilingue,
l’ideale sia una sequenza di numeri
primi: facile da identificare e di
certo non creabile naturalmente. Secondo
Davies, bisognerebbe cercare
se nel nostro genoma c’è qualcosa di
simile. È lui il primo ad ammettere
che le probabilità di successo sono poche,
ma aggiunge che «si tratta di una
ricerca poco costosa. Basta frugare
fra masse di dati che ci sono già disponibili,
persino in Internet».
Le reazioni dei colleghi scienziati?
Sorpresa, interesse, perplessità e
qualche rilievo critico puntuale. Per
esempio il microbiologo Steve Benner
commenta che «Paul sovrastima
la capacità di durata del Dna non funzionale
»: cioè il materiale genetico
residuale non è semi-eterno, si deteriora
eccome. Sull’altra faccenda,
cioè la ricerca del plutonio, il fisico
teorico David Deutsch (di Oxford) dice
che vale la pena di impegnarcisi.
Precisa: «Non credo che il plutonio
sia una fonte di energia sufficiente
per i viaggi interstellari. Immagino
necessario qualche carburante più
potente, per esempio l’antimateria»;
ma aggiunge (scherzandoci sopra)
che, se si trova qualche deposito sotterraneo
di plutonio, «potrebbe trattarsi
di vecchie batterie di telefoni
cellulari extraterrestri».
Il commento più negativo è del
biologo Norman Pace (università del
Colorado), secondo cui le provocazioni
di Davies sono «mainly bullshit»,
espressione che non traduciamo. Ma
persino lui concede qualcosa con
quell’avverbio «mainly», quasi ad
ammettere che non tutto è «bullshit
»... Per gli scienziati esplorare le
vie dell’improbabile è sempre una
tentazione irresistibile.
Pensate poi che in bella vista sulle
venature rocciose di un’enorme parete
delle Dolomiti, in caratteri alti decine
di metri, potrebbe esserci scritto
«Walter ama Samanta», ma nella lingua
di Andromeda, per cui non lo sappiamo
leggere.
La trovata di ET: “scrivere”
unmessaggio nel nostro Dna
Il modo più efficace per dirci “noi alieni siamo passati dalla Terra”

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